14/04/10

Verso Tosera | Il video



In auto lungo una strada in mezzo al niente, mescolati in mezzo alle citazioni di "Brave New World" di Aldous Huxley, il positivismo la crisi e le tecnologie e bla bla bla, ci era venuta in mente una domanda: che musica ha il deserto?
Poi ci è venuto in mento di mettere assieme il deserto caldo di sole e sabbia con quello nordico, del freddo, delle tempeste bianche.
Sono i Sigur Ros.
Consiglio: Heima da vedere, qui sotto il trailer.



A cose fatte, abbiamo trovato nel trailer un'immagine identica a quella d'apertura.
Magia...

Tosera, città immaginaria battezzata in seguito e un'incomprensione sul nome Tozeur in una delle discussioni organizzative, scappava continuamente al nostro viaggio. Nel corso dei giorni, a più riprese abbiamo provato ad avvicinarci, ma abbiamo finito per risalire verso Nord lasciando questa città senza visitarla, relegata al mondo del sogno, una specie di Monte Analogo della nostra spedizione. Senza una presa di posizione cosciente, abbiamo lasciato inviolato il territorio onirico di questa città fin dall'inizio inesistente. Quel punto del deserto l'abbiamo lasciato li' a evocare per il futuro la stessa tensione attrattiva che ci ha portati laggiù. Andare verso Tosera non significava allora andare a Tosera. Quella che è dapprima sembrata una mancanza, una destinazione fallita, s'e' rivelata invece la conclusione perfetta del viaggio. So che per me nella vita tutto è tensione fra due punti ed equilibri magnetici. Tosera è il nostro nodo elettrostatico del deserto, che ci lega all'Africa, dove tutti torneremo.
continua qui.

Montaggio: Roberto Lombardi ( NONMELOSPIEGO PRODUZIONI VIDEO )
Riprese non premeditate con un telefonino
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Foto: IoManuele
Compaiono: Massimo, Francesco, Manuela, Abdallah, Nabil, anche altri di cui purtroppo non ricordo il nome.



26/01/10

2/3___VIAGGIO. Manifestazione, compimento, vita. Architettura sensoriale.



L’africa è terra dei sensi.

È esistenza non costruita.

L’africa si assaggia senza saperlo. Senza chiedere. L’africa è nella bocca ancor prima di rendersene conto. E la senti scivolare dentro.

Quando dal ponte numero 8, durante le manovre di attracco della Zeus Palace, si vedevano librare lontani sopra i tetti i primi minareti, aguzzi e verticali, il vento sapeva gia di terra, sabbia, profondo.

Chiusi gli occhi e annusai profondamente. Conoscevo gia tutto. Senza sapere come. Ma conoscevo gia tutto.

Scivolavano sulle labbra sapori primordiali.

Intensi.

Vibranti.

Coinvolgenti.

Si palesò pressappoco così il nostro arrivo a Tunisi.

Sbarcammo con addosso un forte dinamismo da occidentali curiosi che gradualmente digradò verso un “AFRICIZZAZIONE” di tempi, modi e termini che ci rapì totalmente.

Fu sicuramente la vista del mare dalla spiaggia della Goulette, che si pronunciava lento e misterioso, o magari il sorseggiare la prima bevanda locale, the verde con foglie di menta, o lo scoprire una moneta dai disegni sconosciuti e scambiarla senza conoscerne il vero valore rimanendo stupiti, o magari il ritrovarsi della gente agli angoli delle vie in capannelli di 4 o 5 persone. Il loro parlare. Il loro raccontarsi. Il prendersi il tempo del dialogo.

Guardarci in faccia ci metteva nella condizione di trovarci e perderci allo stesso momento cercando punti di riferimento intorno che non esistevano realmente ma si sentivano nello stomaco.

Il viaggio è movimento, direzione. Il nostro aveva degli obiettivi fisici, topografici, da voler rispettare, e non da subire, arrivare a sud e spingersi nel deserto.

Il viaggio è occhi sgranati nell’andare, naso sul finestrino dell’auto, dita che toccano le cose.

Multisensoriale.

Il percorso verso il sud scivolò lungo ed inesorabile, toccando luoghi e genti che t’aspetti simile ovunque, ma che ritrovi diversa ogni volta.

Non è strano.

Ma mi stupì comunque.

La cosa che mi affascinò durante il trasferimento da Tunisi verso Douz furono le improvvise apparizioni di piccoli villaggi lungo la strada.

In mano cartine stradali spoglie e secche che non mostravano microinsediamenti urbani dove sopravvivevano invece immobili e travolgenti tradizioni e costumi.

Vieni travolto in un vortice contraddittorio dove ti senti contemporaneamente innovatore rivoluzionario e contaminatore territoriale.

La semplicità dei piccoli gesti, delle piccole cose, delle piccole parole, ti lascia senza fiato.

E la tua grandezza occidentale diventa minuscola, impalpabile, povera.

Cosa manca? Manca tutto rispondi.

Ma giostrando la testa intorno non manca proprio niente.

C’è tutto quello che basta.

E c’è più forte.

Chi ti da come proprio indirizzo la fermata di un autobus, chi quello di una libreria, dove spedire le foto appena scattate.

Chi ti dice chiamami se hai bisogno e ti lascia il numero di telefono, e tu non sai nemmeno chi sia, ma ti ha appena sorriso. Chi ti serve a tavola come un re nonostante ti trovi in un salone di 200 mq con due neon e le sedie ed i tavoli sono tutti diversi.

Perché tu sei sempre il benvenuto.

Perché ti fanno sentire una persona.

Il sud lo raggiungemmo di sera. E senti che è sud dal crocchiare della sabbia tra i denti, dalle stelle, dai pochi lampioni, dalle luci basse insomma, luci basse ovunque. Da un calore strano nel fresco pungente serale, che senti arrivare dalle vie, scivolare sui muri, e prenderti gli occhi. Ma la verità è che quel calore, me ne rendo conto solo ora, proveniva dal buio, dalla notte del deserto.

Odorava di silenzio.

Di gelsomino.

Di luna.

Il sud ti sconvolge nell’accoglienza che ti riservano nelle case, nella sabbia sottile come farina o dura come asfalto, nel mercato degli animali all’alba dei palmeti, negli occhi dei bambini che ti cercano mentre corrono, che te li senti dentro quando fissano quella dannata macchina fotografica avida di immagini.

Non voglio parlare del deserto dove campeggiammo la notte dell’ultimo dell’anno.

Non lo voglio fare, perché so che non riuscirei a farlo come desidero, così come ho sentito.

Vorrei ricordare solo una frase che sopraggiunse nella notte ovattata: “Guardatevi intorno, sembra un presepio”.

Ci fece sorridere. Di gusto. Molto.

E ci concesse, prima di addormentarci sotto una luna dentifricio che sbiancava ogni cosa, di dare un ultimo sguardo intorno, da soli, e capire quanta grandezza ci circondasse, quanta magia ed elettricità fosse presente nello spazio circostante.

E fosse tutta per noi.

Li, unicamente per mangiarti ed essere mangiata.

16/01/10

1/3___VIAGGIO. Sogno, progetto, inizio. Architettura dell’andare.



Ci fu una sera, in cui per puro caso, ci si ritrovò a discutere sul perché non intraprendere un viaggio insieme. Cosa sempre desiderata e mai realizzata prima d’ora. Dove? Ci fu suggerito l’Africa, non sto qui a spiegare il come ed il perché, ma la proposta ci sembrò in quel momento decisamente allettante e carica di significati. Seguirono giorni e settimane in cui si sorrideva, con altalenante convinzione, alla concretizzazione di questo sogno. Dapprima c’era da conoscere chi volevamo coinvolgere in questo progetto. E fu facile. Ci trovammo subito in tre. In secondo luogo modi, tempi e termini. Un po’ più complessa ed elaborata questa fase, ma scorse così velocemente che ci trovammo alle 3 di mattino del 28 dicembre, sognanti ed infreddoliti, diretti alla volta del porto di Salerno, dove ci saremmo imbarcati per la Tunisia.

La città vista dal mare è cartolina e amore. Il mare visto dal mare non sembra più d’acqua ma carta piegata. La Zeus Palace si muove lenta ma precisa, disegnando lo spazio che l’accoglie con armonici ed aggraziati segni.

Una nave non è una nave, in special modo in questo genere di tratte ed in questo periodo dell’anno.

Un nave diventa speranza, sogno, leggerezza, prospettiva, innovazione, motore, gioia, velocità.

Attesa.

Ci incontri vite, non persone.

Ci scambi pensieri ed esistenza, realtà e sogno.

Al ponte numero 5, riparati sotto la copertura del bar all’aperto, lingue, odori, colori, pelle si fondono in un'unica direzione passando per percorsi diversi e distanti tra loro, uniti da un unico invisibile punto di contatto, l’umanità.

Vivi il giorno, poi la notte, poi ancora il giorno.

Incroci sguardi.

E quando meno te lo aspetti, il ponte numero 8 diventa la piazza dove la prospettiva di un mondo sconosciuto e conosciuto si presenta con naturale bellezza e semplicità.

Terra.

Tunisia.

15/01/10

Preludio

Il viaggio è architettura. Così come ritengo vero anche il contrario. Termini dal significato estrinseco ben distante tra loro, ma che racchiudono in grembo, nascoste e pulsanti, le medesime aspettative, i medesimi sogni, analoghe prospettive, lo stesso processo di costruito, identiche realtà.

Il viaggio che ho intrapreso raccoglie in se entrambe i termini che sopra ho illustrato.

I loro valori terreni.

La stessa magia concettuale.

11/01/10

Un hombre que cultiva su jardín, como quería Voltaire.
El que agradece que en la tierra haya música.
El que descubre con placer una etimología.
Dos empleados que en un café del Sur juegan un silencioso ajedrez.
El ceramista que premedita un color y una forma.
El tipógrafo que compone bien esta página, que tal vez no le agrada.
Una mujer y un hombre que leen los tercetos finales de cierto canto.
El que acaricia a un animal dormido.
El que justifica o quiere justificar un mal que le han hecho.
El que agradece que en la tierra haya Stevenson.
El que prefiere que los otros tengan razón.
Esas personas, que se ignoran, están salvando el mundo.

Jorge Luis Borges


07/01/10

DENTRO-e-FUORI



Tornammo dal deserto il primo gennaio. Erano circa le 12.30 del mattino. Stanchi. Silenziosi. Distanti e vicini. E ci sedemmo su un marciapiede. Vicino a noi un grande cartello decorato con piastrelle, dove erano rappresentate scene popolari, indicava che eravamo appena usciti o stavamo appena entrando nel deserto. E noi avevamo appena varcato la porta ritornando dentro o fuori, non lo so.

Nel pomeriggio, dopo aver scambiato a Douz, in un cortile assolato circondato da bambini ed anziani, poi in una stanza di tappeti e the sfogliando il percorso del rientro a nord, saluti, immagini, pensieri, cordialità, senso profondo di rispetto, ospitalità, ci dirigemmo verso Gabes, destinazione intermedia prima di raggiungere Tunisi il giorno dopo.

Ci fermammo all’altezza di Kettana, per una sosta davanti al mare, un the verde, una fricassè, e che poi li il bicchiere di the te lo prendi e te lo porti a spasso con te in spiaggia e questo è un piacere per pochi.

La spiaggia era verde quel giorno. Verde, si, ma più del the alla menta. Il ritiro della marea lasciava sotto il sole alghe brillanti di smeraldo a perdita d’occhio. Il mare in fondo era un mare più mare del mare stesso.

Passeggiai con me ed il mio the. Sotto un sole elettrizzante, secco, vivace.

Passeggiai per un quarto circa, e ritornammo alle auto.

Mentre salivo sulla mia, Francesco mi guardò, fece un cenno con la testa, ricambai, un sorriso che non era un sorriso ma un dialogo di ore e giorni, salimmo in auto, come se già sapessimo tutto.

Lui conosce il mio mal d’Africa, se così possiamo chiamarlo.

Lo conosce da quando partì per il Kenya circa 3 anni fa e ritornai rigirato come un calzetto, come dicono dalle mie parti.

Dico mal d’Africa, ma è il concetto di dentro-e-fuori che accennavo prima, all’inizio di questo scritto.

Già, dentro e fuori.

Chi è dentro, chi è fuori, dov’è il dentro e dove il fuori.

Domande che continuamente mi avvolgono di pensieri come sciarpe al collo sotto il sole ogni volta che scendo al sud del mondo.

Il giorno che mi dissero, partiamo per il safari, andiamo a vedere gli animali, ero eccitatissimo. Ma non pienamente cosciente di cosa potesse significare in seguito questo.

Mi accorsi poi con i giorni, che volesse semplicemente dire, andare DENTRO.

Dentro cosa?

Dentro e basta. Questo era quello che sentivo. Sentivo la pelle. Gli odori. I colori. Lo spazio. La grandezza di tutto. DENTRO succede tutto secondo regole precise e non scritte da milioni di anni.

Io ero a casa loro. O nella mia vera casa. Ancora non lo so. Tra gli animali. Le piante. I cicli naturali. In un mondo esistente e non costruito.

E la senti forte la sensazione del DENTRO li. Di distanza. Di presenza. Di verità. Di non essere più il centro di nulla. Ma di essere e basta. E muoversi. E fare.

Li tutto si muove e tu non puoi far nulla per arrestarlo. O non dovresti far nulla per contaminarlo. Perché è già tutto così perfetto.


È così e basta, si regge da solo.

Sei DENTRO, DENTRO davvero.

E quel giorno nel deserto ero DENTRO, si, proprio così.

E senti tutto forte.

Il silenzio è assordante di notte.

Ti brucia.

Sotto il cielo le stelle gelide ti osservano.


L'alba ti gela il sangue.

Da qualche parte qualcuno o qualcosa sa che ci sei.

Ricordo perfettamente il primo gennaio, all’incirca verso le 12.30 del mattino, quando ci trovammo seduti su un marciapiede alle porte di DOUZ, e vicino a noi motorini e dromedari si intrecciavano tra asfalto e sabbia, il cielo non toccava più ovunque con la terra ma scivolava sopra i tetti alla ricerca di un punto di contatto.


Eravamo seduti al confine.

Al confine di un DENTRO e di un FUORI che ti mangia la manifestazione oggettiva dei sensi e ti sputa addosso tutto il sentire confuso di due mondi.

L’Africa.

Si sente e basta.

Quando sei li la senti, la senti forte davvero.

E sei ovunque ed in nessun posto.

DENTRO-e-FUORI.

Sono contento di esser stato DENTRO-e-FUORI con loro.

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05/01/10

Il deserto vuoto e le cose rotte



Andrea mi ha detto questa cosa molto bella, che al ritorno dal deserto gli orizzonti si restringono e uno aspetta il giorno di poter tornare a perdersi con lo sguardo a 360°. Ma per fortuna di chi vive a Porto Potenza, dopo il limite della ferrovia gli occhi ritrovano una certa libertà' anche a 180°. Senza il mare sarebbe un carcere!

In effetti, credo che dal punto di vista della spazialità, la cosa che più colpisce del deserto sia questa nozione circolare, questi 360 gradi che non siamo abituati a conoscere. Nel vuoto delle dune siamo costantemente il centro di un cerchio immaginario che non delimita niente. Una condizione che instaura una confusione ubriaca fra la sensazione di essere il fulcro di qualcosa, e allo stesso tempo di non essere altro che un punto alla deriva nello spazio.

L'orizzontalità è invece quello che caratterizza lo sviluppo spaziale lungo l'asse terra-cielo. Ho avuto questo pensiero appena sbarcato a Tunisi, seduto sulla spiaggia a osservare le montagnette di sabbia, già tutto contento dell'aria di sud. Avrei ritrovato lo stesso principio, più forte e amplificato dalle dimensioni illimitate, qualche giorno più tardi in mezzo alle dune.


Questo viaggio verso Tosera, in un paese culturalmente molto diverso da quelli che conosciamo, la destinazione del deserto dove abbiamo trascorso a cielo aperto la notte del 31 dicembre, hanno assunto poco a poco una carica simbolica e quasi magica, forse inaspettata.

Tosera, città immaginaria battezzata in seguito e un'incomprensione sul nome Tozeur in una delle discussioni organizzative, scappava continuamente al nostro viaggio. Nel corso dei giorni, a più riprese abbiamo provato ad avvicinarci, ma abbiamo finito per risalire verso Nord lasciando questa città senza visitarla, relegata al mondo del sogno, una specie di Monte Analogo della nostra spedizione. Senza una presa di posizione cosciente, abbiamo lasciato inviolato il territorio onirico di questa città fin dall'inizio inesistente. Quel punto del deserto l'abbiamo lasciato li' a evocare per il futuro la stessa tensione attrattiva che ci ha portati laggiù. Andare verso Tosera non significava allora andare a Tosera. Quella che è dapprima sembrata una mancanza, una destinazione fallita, s'e' rivelata invece la conclusione perfetta del viaggio. So che per me nella vita tutto è tensione fra due punti ed equilibri magnetici. Tosera è il nostro nodo elettrostatico del deserto, che ci lega all'Africa, dove tutti torneremo.

Vedere le case rotte, le auto rotte, gli oggetti rotti, i muri rotti, le cose rotte, vedere le bambine giocare per strada, vedere tanto vuoto, tanto poco uomo in cosi tanto spazio, tanto deserto e tanta sabbia tutta continua e tanto sud e tanta calma e tanta vita diversa nei caffe', vedere i ritmi cambiati, tutto questo credo ci abbia ispirato una serie di riflessioni vorticose intorno al mondo, al cambiamento del mondo dopo l'anno della crisi, io l'ho chiamato l'anno del mondo nuovo questo 2010. Nel corso del viaggio mi hanno detto che sono iper-razionalista, poi iper-surrealista, poi iper-ottimista, poi iper-progressista. Massimo è stato definito iperrealista e anche complottista, mentre Manuela è stata definita un pop (in spagnolo popero).



Insomma, mi piace pensare che per tutti e tre questo viaggio è stato una specie di rito iniziatico per l'anno nuovo, una notte sotto le stelle in mezzo al nulla, in un deserto che azzera tutto e disinfetta, tanto che al ritorno, mentre si intravedeva la città, mi veniva da pensare che forse avremmo davvero ritrovato un mondo nuovo dopo quella notte, in cui tutto sarebbe cambiato.

In nave abbiamo letto e discusso brani di Hoffmann, il dio degli acidi, che solleva inevitabilmente il dibattito sull'uso delle tecnologie (l'LSD come tecnologia della creatività o della spiritualità?), abbiamo citato "Il Mondo Nuovo" di Aldous Huxley. Loro sognavano per il futuro un incontro della tecnologia con la spiritualità, e io credo che questo stia avvenendo. Come spiego anche qui, credo che le tecnologie della comunicazione siano un mezzo per canalizzare, connettere e amplificare contenuti emotivi, sensoriali, altrimenti ineffabili. In questo senso, credo che mai come in questo momento la tecnologia sia stata lontana dal materialismo. Anche in architettura questo è sempre più evidente.


E' nata un'avanguardia architettonica, rappresentata ad esempio dal movimento THINKARK, che critica la concezione dell'architettura come costruzione. Tutti i contenuti che possiamo oggi scambiare grazie alla tecnologia, rappresentano infatti un nuovo materiale architettonico e urbanistico, lontano dalle mura e dagli edifici. Per questo credo si possa iniziare a parlare di un'architettura dei sentimenti, una configurazione spaziale non più meramente materiale. Mi sembra inoltre di intravedere in questo cambio paradigmatico, che mi sono azzardato a paragonare alla rivoluzione industriale o a quella del maggio del 68, una opportunità di un nuovo equilibrio fra gli elementi che strutturano il mondo, fra il fisico e il virtuale, fra i sensi e le emozioni.

Credo anche, per concludere, che ogni architetto dovrebbe vedere il deserto, riflettere su questo luogo del vuoto, cosi' lontano dall'architettura, che eppur sa contenere magistralmente mistero e poesia.


Grazie a Massimo e Manuele per avermi portato da Parigi a Douz.